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Senigallia, il Musinf presenta le opere della nipote di Mario Giacomelli, Katiuscia Biondi

L'appuntamento è per venerdì 9 marzo, alle 21 al Palazzo del Duca

Katiuscia Biondi

La missione del Museo d’arte moderna di Senigallia è quella di non perdere nessuna occasione per ribadire l’immagine di Senigallia, città della fotografia, segnalando non solo il rilievo storico delle raccolte locali, ma anche la vitalità e la creatività degli autori giovani, che costituiscono il presente della fotografia.

 Quando il fotografo è donna è l’evento annuale che il Musinf dedica alla fotografia al femminile, corrispondendo in modo specifico alla proposta di eventi museali per l’8 marzo, proveniente dall’Icom Marche. Katiuscia Biondi, che è l’autrice scelta dal Musinf per l’evento 2012, è la nipote di Mario Giacomelli.

“Forse anche per questo” scrive il prof. Bugatti, direttore del Musinf “non è certo una fotografa cui manchi la parola. Anzi la sua scelta operativa era stata rivolta finora specificamente al settore critico, in applicazione di un curriculum di studi ed esperienze, che esprime un orientamento ben determinato”. Dopo la frequentazione dell’ambiente strutturalista all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, Katiuscia Biondi si è laureata in filosofia all’Università di Urbino, con una tesi decostruzionista sul potere persuasivo e performativo del linguaggio. Ha continuato la sua indagine sul linguaggio, come redattrice, per la casa editrice Pequod di Ancona.

Ha collaborato con vari artisti italiani e internazionali, suoi testi critici e contributi sono apparsi in diversi libri d’arte e cataloghi di mostre, ultimi dei quali: Mario Giacomelli. Sotto la pelle del reale (24OreCultura, Milano 2011); Mario Giacomelli. Vita del pittore Bastari di Achille Bonito Oliva (ArteCom, Senigallia 2011); Mario Giacomelli.

La terra dalle ombre lunghe (ArteCom). Ha diretto e dirige l’Archivio Mario Giacomelli-Sassoferrato, per la cura dei progetti espositivi ed editoriali. Nel 2008 ha presentato l’opera di Giacomelli al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della visita a Senigallia. Tiene laboratori fotografici di selfportrait-performance nelle Marche. Presso il Musinf di Senigallia coordina il corso di Fotografia artistica ispirandosi al metodo della scuola Misa, punto nevralgico negli anni ’50 delle riflessioni sulla Fotografia come Arte, dando rilievo al fatto che le opere fotografiche dei protagonisti del gruppo Misa sono conservate al Musinf. Proprio a dimostrare le capacità di analisi critica di Katiuscia Biondi, il prof. Carlo Bugatti, direttore del Musinf, ha pubblicato, a corredo e guida di questo portfolio, che viene presentato al Palazzo del Duca, le riflessioni dell’Autrice sulla suite di fotografie che l’ha finalmente condotta ad esprimersi, con soddisfazione personale, attraverso la fotografia.

In occasione dell’evento programmato dal Musinf al palazzo del Duca, per l’otto marzo 2012, Katiuscia Biondi proietterà anche dei video montati su fotografie. Cosa che la appassiona molto e che l’Autrice vede come un tentativo di non dare spazio all’aspetto mortifero della Fotografia: “Una volta fissato il reale, la Fotografia” ha scritto Katiuscia Biondi “è come se lo uccidesse, poiché la realtà muta continuamente mentre la Fotografia la blocca, e creando della realtà solo un’immagine, sia pur meravigliosa e commovente e vivida e bella, l’ha già uccisa”. Perché secondo la Biondi la fotografia uccide il reale? “Perché” secondo lei “non mostra più ciò che vive, ma qualcosa di completamente diverso, cioè una realtà contaminata dallo sguardo del fotografo, perché, in fondo si fotografa sempre se stessi”.

E’ proprio da queste considerazioni che è nata la predilezione di Katiuscia Biondi “verso una Fotografia che non generi immagini statiche e fisse, ma sia il punto d’inizio per raccontare una storia, per crearvi un video dove ogni foto interagisce con la precedente e con la successiva”. Si tratta di un procedimento attraverso il quale, ha concluso l’Autrice, “ogni foto racconta chi sono… in primis a me stessa”.

KATIUSCIA BIONDI: METAMORFOSI DI UN CORPO CHE CERCA LA SUA FORMA
 Ecco cosa scrive Katiuscia Biondi della sua esperienza: “Le foto che fanno parte del portfolio, che verrà presentato al palazzo del Duca venerdì sera, sono nate in un momento in cui mi era necessaria un’immersione in me stessa per cercare delle risposte. Risposte d’altra parte mai trovate. Ma con grande sorpresa da parte mia, qualcosa era comunque venuto a galla: uno specchio, quello specchio che il corpus fotografico effettivamente era; e uno specchio non dà risposte, riflette semplicemente la tua immagine, ti mostra come sei, ti offre un ancoraggio alla realtà, e già solo per questo è in qualche modo un oggetto confortante, soprattutto quando hai la sensazione di esserti persa. Confortante è stata la soddisfazione nel vedere con i miei occhi che quello che sentivo dentro, indefinibile, aveva preso una forma precisa, anzi centinaia di forme (tante quante le foto che stavano nascendo) che inseguivano la mia metamorfosi e i miei umori. E’ stato come risolvere un dolore dandogli una forma, dei confini precisi, finiti, e quindi controllabili. E’ difficile spiegare a parole come ci si senta in certi momenti strampalati, ma da quel momento potevo mostrarlo semplicemente con l’immagine che di me offriva la fotografia.

Le foto erano nate da un tentativo esistenziale di ripulirmi dalla placenta scabrosa del reale in cui mi ritrovavo immersa, ripulirmi accedendo al bello, il bello della creatività, della meraviglia nello scoprire l’infinita potenzialità espressiva a cui il genere umano può accedere, il bello della commovente possibilità di incontrare la comprensione e la partecipazione dell’Altro.

In quel periodo ero come bloccata in un cortocircuito cerebrale, in cui i pensieri assillanti che giravano e rigiravano ininterrottamente nella mia testa stavano prendendo quasi una consistenza materica dentro di me. Lavorare alle fotografie sul corpo (corpo come rappresentazione di me, in quanto l’unica cosa visibile della mia persona agli occhi dell’Altro) è stato un modo per cercare di liberarmi da questa impasse in cui mi ero bloccata nella vita quotidiana. Come in un percorso psicanalitico, le fotografie mi hanno condotta nei meandri del mio profondo, facendomi immergere nel dolore per poi risalirne fortificata.

Queste 12 foto fanno parte di un progetto che mette in scena un intreccio non lineare di una narrazione interiore e sensoriale: è il mio tentativo di liberarmi dai limiti fisici del corpo, facendomi pixel e facendomi stanza attraverso meccanismi dinamici e sinestetici (queste foto infatti sono nate per essere poi proiettate e per montarci dei video). Sono per me il modo di rappresentare, e quindi esorcizzarlo, il corpo-prigione, poiché a volte mi sento prigioniera sotto la mia pelle, dal momento che non ho scelto di venire al mondo e né di avere proprio questo corpo qua, e dal momento che esso mi sottopone immancabilmente allo sguardo dell’Altro e ancor peggio alla fragilità e alle coercizioni delle leggi fisiche.

E ancora: “Per me la macchina fotografica è uno strumento che ritengo una sorta di parte di me, e, dimentica di lei proprio come si fa con una parte del proprio corpo, faccio di tutto per alleggerirla della sua estraneità, anche non prendendo in troppa considerazione le sue prestazioni tecniche, per poter lavorare con immediatezza, ed è sbalorditivo vedere che quell’intangibile che provo, tramite l’autoscatto fotografico, appare fedelmente riprodotto sottoforma d’immagine, visibile a tutti. La macchina fotografica è un essere con un occhio che riesce a proiettare e mostrare lo spirito delle cose, o meglio lo spirito di chi la tiene in mano e scatta“. 

 

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